Cari visitatori della Tana,
dopo moltissimo tempo ritorna sul blog la rubrica dedicata al mondo dei lettori in senso più stretto. Ho deciso di trattare oggi un tema piuttosto attuale e che negli ultimi giorni è rimbalzato da un sito di notizie all'altro: il "caso" Elena Ferrante.
CHI È ELENA FERRANTE?
Elena Ferrante è lo pseudonimo dietro il quale si cela un'autrice italiana di successo, della cui vera identità non ci sono mai state prove certe. Per E/O Edizioni ha pubblicato la serie de L'amica geniale, una tetralogia di romanzi che è stata tradotta in diversi paesi ed è addirittura entrata nella classifica dei Bestseller del New York Times. I diritti dei romanzi sono stati opzionati per la realizzazione di una serie televisiva.
Oltre a questa serie ha scritto alcuni romanzi autoconclusivi di successo: L'amore molesto, I giorni dell'abbandono e La figlia oscura.
Nell'Aprile 2016 la rivista Time l'ha inserita tra le 100 personalità più influenti al mondo nella categoria degli artisti.
DA COSA NASCE "IL CASO"?
Da anni ormai si rincorrono in giro sul web e sui giornali voci sulla vera identità dell'autrice. Per soddisfare la curiosità dei lettori e per spiegare i motivi della sua scelta di rimanere nell'anonimato, la Ferrante aveva pubblicato nel 2003, sempre per Edizioni E/O, il volume La frantumaglia, raccolta delle poche interviste concesse e di alcune lettere.
Evidentemente non è bastato, perché di tanto in tanto, ed ultimamente sempre più spesso, la curiosità in merito alla sua vera identità è esplosa di nuovo.
A voler saziare la curiosità dei lettori, Domenica scorsa, è stato Claudio Gatti, editorialista de Il Sole 24 Ore. Con un'inchiesta piuttosto meticolosa, basata sui pagamenti effettuati da Edizioni E/O e sui libri contabili della casa editrice, Gatti ha dedotto che l'autrice sarebbe Anita Raja, moglie dell'autore Domenico Starnone e traduttrice freelance che da diverso tempo collabora con E/O.
L'inchiesta di Gatti è stata pubblicata contemporaneamente in 4 Paesi e ha diviso, inevitabilmente, l'opinione pubblica.
PERCHÉ DOVREMMO INDIGNARCI?
Ho già scritto nel titolo di questo post e qui ribadisco che davanti a questo caso giornalistico dovremmo tutti indignarci.
Parto da una premessa: non ho mai letto i romanzi di Elena Ferrante, quindi non entrerò nel merito dei suoi lavori, ma rispetto all'inchiesta di Gatti sento il bisogno di scrivere cosa penso.
Il giornalista (trovate QUI il suo editoriale) ha condito il suo articolo con prove che dovrebbero dimostrare che Anita Raja è davvero Elena Ferrante: cifre su cifre provenienti dai libri contabili della casa editrice e che dimostrano i pagamenti a favore della traduttrice e prove di acquisti immobiliari della Raja degli ultimi anni.
Leggendol'editoriale non si può che pensare che sia davvero lei: lo dicono le prove, lo dice la logica.
Ma per quanto grande possa essere la sete di curiosità dei critici, dei giornalisti, dei lettori e ammesso che Anita Raja sia davvero Elena Ferrante, era davvero giusto rivelarlo in questo modo?
L'inchiesta di Gatti ha gli stessi toni di uno studio fatto sui conti di un mafioso, di un evasore fiscale. La sua giustificazione è debolissima: quella di voler raccogliere ciò che viene da lui stesso definito il "guanto di sfida" lanciato dalla stessa Ferrante ne La frantumaglia, in cui l'autrice ha rivelato alcune informazioni relative alla sua sfera privata, ma non assicurando che fossero veritiere. Ebbene secondo Gatti, il fatto che l'autrice abbia mentito su qualche dettaglio della sua vita autorizza i critici ed i giornalisti a non riconoscerle più il diritto all'anonimato.
IL MIO PARERE SULLA VICENDA
Non mi dilungherò molto, promesso.
I motivi che portano un autore a scegliere la pubblicazione anonima o dietro pseudonimo possono essere i più diversi. È la legge, anzi, a garantire agli autori il diritto di pubblicare le proprie opere in forma anonima.
Il compito di noi lettori dovrebbe essere quello di leggere, apprezzare, criticare un'opera. Un romanzo ci arricchisce, ci fa scoprire storie nuove, a prescindere da chi lo abbia scritto.
Accanirci su un autore per scoprirne la vera identità, invece, non porta a nulla. Potremmo per un attimo dire che la nostra curiosità è finalmente soddisfatta, certo, ma poi cosa ci rimane? Un volto, un nome anagrafico, ma niente di più.
Quello che mi ha colpito dell'editoriale di Claudio Gatti è stata la spietatezza con la quale ha "invaso" la sfera privata di una donna e le debolissime ragioni che ha fornito per la pubblicazione di dati riguardanti i conti e le proprietà di Anita Raja.
Ammesso che dietro lo pseudonimo Elena Ferrante si nasconda davvero la traduttrice, non riesco a trovare giustificazione ad un accanimento di questo tipo.
Come lettori, come blogger o giornalisti, diciamo spesso di volere il rispetto degli autori o degli editori. Ebbene, forse sarebbe il caso di cominciare ad averne noi un po' di più per chi scrive le storie che tanto amiamo, qualunque sia il nome che ha scelto per pubblicarle.
Completamente d'accordo con te!!
RispondiEliminaCosa importa chi sia veramente, ciò che contano sono i libri!
Se lei vuole l'anonimato era diritto di tutto rispettare questa sua scelta.
I giornalisti a volte sono solo sciacalli in cerca di uno scoop
Purtroppo la questione dell'anonimato della Ferrante è diventata più grande ed ingombrante del previsto, tanto da far andare i giornalisti alla ricerca dello scoop degli scoop. Fa un po' tristezza, questa cosa.
EliminaConcordo con te su tutta la linea. E anche io non ho mai letto un romanzo di questa autrice, ma trovo assolutamente irrispettoso la volontà di entrare così di prepotenza nella vita privata di una scrittrice che ha sempre voluto mantenere l'anonimato.
RispondiEliminaE online ho solo visto indignazione da parte dei lettori, sia italiani sia stranieri, quindi di fatto il giornalista ha fatto una pessima figura.
E poi davvero, l'ha trattata manco fosse una criminale, è andato a farle i conti in tasca, tirando fuori uno "scoop" che non interessava a nessuno.
Credo sia un po' la mania da "Grande Fratello", il dover entrare a tutti costi nella vita delle persone, famose e non, e che stia sfuggendo di mano.
Ma io sono sempre stata consapevole della mania da "Grande Fratello", solo che non mi sarei mai aspettata una violazione della vita privata di una donna (a prescindere dal fatto che la ferrante sia lei o meno) di questa portata. Dopo aver letto l'inchiesta sono rimasta profondamente amareggiata. Dovremmo tutti avere più rispetto degli autori.
EliminaSono d'accordo anch'io, al cento per cento.
RispondiEliminaPurtroppo, però, era anche inevitabile che accaddesse, o quasi: se non fosse stato questo signor Gatti a cercare (e trovare) i suoi cinque minuti di celebrità, l'avrebbe fatto qualcun altro, prima o poi... Nel nostro mondo curioso, febbrile, pettegolo, non puoi veramente aspettarti di scrivere un best seller con delle cifre del genere ed evitare di suscitare un inutile vespaio, purtroppo! Resta il fatto che è una cosa mooooolto triste!
Mi trovi d'accordo e mi rendo conto che capita sempre più spesso che gli autori i quali hanno deciso di pubblicare in forma anonima o sotto pseudonimo, appena fanno un minimo di successo o vengono allo scoperto o sollevano qualche polemica. Insomma, il diritto all'anonimato è garantito dalla legge ma non dai critici e dai giornalisti.
EliminaConcordo.
RispondiEliminaUna simile invasione della privacy può essere giustificabile da parte delle forze dell'ordine nel caso si sospetti qualche illecito da parte di una persona, ma fare i conti in tasca a una donna al solo scopo di scoprire se dietro il nome di Elena Ferrante si nasconde lei è qualcosa di disgustoso.
Personalmente trovo persino ingiusto un interesse tanto morboso nei confronti di questa faccenda: non importa il motivo per cui una persona ha scelto di nascondersi dietro uno pseudonimo per pubblicare un libro; se ha fatto questa scelta è giusto che qualcuno difenda il suo diritto all'anonimato.
Esattamente. Proprio per questa ragione sono stata felice di vedere che in giro per il web diverse persone la pensano come noi e che ritengono indegno un lavoro come quello fatto da Gatti!
EliminaIl desiderio di sapere chi si cela dietro uno pseudonimo credo sia abbastanza naturale (ed innocente tanto quanto scegliere di usarne uno), ma non riesco a capire perchè abbia fatto scalpore: non mi pare che questa donna abbia fatto una roba loschissima come la Lipperini (che se ci ripenso sento ancora lo schifo)... è uno pseudonimo, forse/probabilmente è questa persona, fine.
RispondiEliminaQuanto ai soldi, credo sia una pratica comune andare a guardare lì: anche Stephen King mi pare lo "smascherarono" in quel modo, ma è veramente incredibile che si possa indagare in questo modo nella vita di persone che non hanno fatto niente di male.
Concordo sul fatto che nell'essere curiosi rispetto alla persona che si cela dietro uno pseudonimo non ci sia nulla di male, ma qui, com'è chiaro, Gatti ha superato il limite. Quello di seguire i soldi è sicuramente un metodo efficace, ma visto che la povera traduttrice tirata in ballo non ha fatto nulla di male, il giornalista poteva davvero impiegare il suo tempo alla ricerca di un qualche criminale.
EliminaSulla vicenda Lipperini non sono informata benissimo, Se non ricordo male dall'alto della sua morale inappuntabile aveva recensito positivamente i suoi stessi romanzi scritti sotto pseudonimo, no?
Per il caso Lipperini è un po' più conplicato: non si limitó ad uno pseudonimo, ma creó una vera e propria identità con tanto di blog personale aggiornato spessissimo e rapporti virtuali più o meno stretti con diverse persone. In più la storia di Lara Manni era quella della scrittrice di fan fiction scoperta per caso, a dimostrazione che in Italia si puó/poteva pubblicare per grandi editori anche senza essere raccomandati e con interventi della Manni/Lipperini stessa che portava ad esempio il proprio esordio se qualcuno diceva il contrario. Questa è la versione "semplificata" della faccenda, perché sennò dovrei entrare nel discorso di quello che era il clima verso i blog che pubblicavano recensioni anni fa e come si inseriva Lara Manni all'interno, che è un po' come aprire il vaso di Pandora.
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